“Droit et cremation: le statut juridique des restes humains” – La disciplina dei resti mortali

La cremazione costituisce una pratica funeraria alternativa alle altre più diffuse (l’inumazione e la tumulazione).
In Italia, a partire dall’art. 12, comma 4 d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito, con modificazioni, nella l. 29 ottobre 1987, n. 440, vi è stata una sorta di parificazione della cremazione alla pratica funeraria dell’inumazione.
Tuttavia, all’interno della cd. ‘legislazione riguardante la cremazione’ va considerato con la debita attenzione la diversità che si riscontra quando sia richiesta la cremazione di cadaveri, nella fase dell’immediato post mortem, rispetto a quando sia richiesta la cremazione in momenti successivi. La diversità che si accentua anche quando si discorre di cremazione di resti mortali, o anche di cremazione di ossa depositate in ossario comune. È questo un aspetto che va tenuto presente, considerando come il termine stesso di “cremazione”, in Italia, debba essere riferito alla “cremazione dei cadaveri”, ogniqualvolta non sia altrimenti specificato che la pratica funeraria riguardi altro.
Quanto ai resti umani, i cadaveri come noto durante la loro permanenza nella tomba, sia essa una fossa di terra oppure un tumulo, sono soggetti a diverse trasformazioni di stato intermedie prima di degradare a semplice ossame e, quindi, in polvere.
L’attività cimiteriale è ciclica e non ad accumulo, è, dunque, finalizzata alla scheletrizzazione dei corpi e non al loro mantenimento nella condizione di integrità immediatamente successiva al decesso, proprio per assicurare spazio alle nuove sepolture; quindi, dopo il periodo di sepoltura legale, si eseguono le operazioni di esumazione o estumulazione volte a rimuovere le vecchie tombe (con il loro contenuto), così da poterle riutilizzare.
Dal 1987, da quando entrò in vigore il vecchio regolamento di polizia mortuaria per ogni cadavere, anche tumulato, deve esser fissato un tempo massimo di sepoltura (coincidente, quasi sempre, con l’esaurirsi della concessione) oltre il quale si procede con il disseppellimento proprio per verificare l’avvenuta mineralizzazione dei tessuti organici e provvedere alla raccolta delle ossa. Sono, infatti, vietate le concessioni perpetue.
Tuttavia, come è noto, particolari condizioni ambientali (chimiche e fisiche) possono modificare radicalmente i processi di decomposizione della materia organica, quindi non è sempre vero che all’atto dell’apertura della tomba si rinvengano solo ossa, spesso, in effetti, i corpi sono ancora incorrotti.
Il maggiore dei problemi gestionali per i cimiteri italiani è proprio questo: i morti non si scheletrizzano nei tempi e nei modi previsti.
Già in molte città si avvertono percentuali di indecomposti che variano fra il 20-30% e il 50-60% ed anche più in caso di estumulazione.
Dal 1990 in Italia si è cominciato ad avvertire l’esigenza di affrontare questa difficoltà strutturale.
Il regolamento di polizia mortuaria non ha in origine introdotto nuovi strumenti operativi, limitandosi a prescrivere per gli estumulati non ridotti a cenere un ulteriore periodo di interro.
Solo a partire dal 1998, prima con la Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10, poi la Legge 30 marzo 2001 n. 130 ed infine con il DPR 15 luglio 2003 n. 254 i cadaveri indecomposti vengono detti “Resti Mortali”, ossia esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo. Sebbene tale definizione entra a far parte del linguaggio tecnico, la stessa definizione non distingue i resti per il loro stato di reale conservazione.
Si tenga conto che a livello leglislativo italiano ancor adesso tutti questi aspetti sono stati regolati anche da una serie non sempre coerente e pressoché mai uniforme, di norme regionali.
A livello statale, in ogni caso, i cadaveri inconsunti, se dalla prima sepoltura sono passati gli anni di sepoltura legale (10 per l’inumazione, 20 per la tumulazione), cessano di esser tali e divengono ‘resti mortali’, ossia una nuova fattispecie cimiteriale cui l’ordinamento giuridico italiano riserva riconoscimento e protezione affievoliti rispetto al cadavere.
Invero, il DPR 15 luglio 2003 n. 254, per i resti mortali ed ossame applica le stesse norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare il resto mortale o le ossa. Non è più necessaria, infatti, la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato.
La cremazione dei resti mortali e delle ossa può esser tuttavia anche deliberata d’ufficio da parte del Comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto. La loro opposizione o contrarietà alla cremazione, invece, deve sempre esser rispettata.
Il disinteresse si qualifica come un atteggiamento inequivoco protratto per un tempo sufficientemente lungo e certo o quale mancanza di soggetti titolati a decidere sulla destinazione alternativa di ossa e resti mortali.
Ed è qui che si coglie la profonda differenza di legislazione tra cadavere e resto mortale.
Invero se per il primo la manifestazione della volontà sia essa del De Cuius o dei Parenti è importante affinchè la cremazione possa essere effettuata; per i resti mortali l’assenso all’incinerazione è tecnicamente una mancata opposizione in ipotesi di intervento comunale.
Da ciò ne deriva che non ha natura di istanza rivolta alla pubblica amministrazione, poiché il procedimento non ha luogo ad impulso dei familiari, come avviene, invece, per la cremazione dei cadaveri.
Questi sono i principi generali che disciplinano i resti mortali.
Tuttavia la legislazione italiana non è omogenea né ha risposto a tutti i quesiti che nella prassi si pongono gli operatori del diritto.
Esempio di ciò è la cd. questione della sogliola.
Una tecnica di tumulazione non disciplinata da nessuna legge, ma solo nella prassi, per altro contra legem, che consiste nel porre i resti non decomposti del tutto in una cassa di zinco di medie dimensioni (più sottile della cassa normale ma più grande della cassettina per ceneri o resti cd. sogliola). Il fine è quello di limitare lo spazio ottenendo un posto-salma, poichè nello stesso loculo possono stare una cassa grande ed una “sogliola”.
Invero, l’art. 77 D.P.R. n. 285/1990 impone per la tumulazione di cadavere la duplice cassa prevista dall’art. 30 D.P.R. n. 285/1990. In alternativa, per la nuova tumulazione del resto mortale precedentemente estumulato è obbligatoria la bara con cassone zincato ai sensi dell’art. 88 D.P.R. n.285/1990 solo in una ipotesi specifica: l’esistenza di parti molli, con conseguente percolazione di liquidi post mortali (ai sensi del paragrafo 3, III Periodo Circ. Min. 31 luglio 1998 n. 10).
Tuttavia nella prassi non solo le casse di zinco vengono utilizzate per tentare di risolvere gli inevitabili problemi di spazio esistenti, ma alcuni regolamenti regionali e disposizioni comunali prevedono espressamente le cd. “sogliole”.
Tale esempio – uno dei molti presenti nella disciplina italiana – prova quanto la legislazione di settore italiana non sia omogenea né organica né risponda in modo puntuale alle chiare ed esigenze degli operatori del settore.