Bra Servizi s.r.l. una sentenza che fa scuola

Responsabilità professionale

Non segue la pratica e clienti falliscono, condannato
26 Febbraio , 16:30
(ANSA) – TORINO, 26 FEB – Il tribunale di Torino ha condannato un commercialista a risarcire con 120 mila euro per “inadempimento professionale” i titolari di una società che si occupava di commercio al dettaglio di ottica. Il professionista aveva difeso la società davanti alla Commissione tributaria per una causa legata agli accertamenti dell’agenzia dell’entrate e, in appello, non trasmise gli atti, non si presentò alle udienze e fece scadere i termini. I suoi assistiti, che tentarono inutilmente di mettersi in contatto con lui, furono multati. La società è fallita e i soci hanno impegnato tutto il loro patrimonio per far fronte al debito contratto con l’agenzia delle entrate. Nonostante la sentenza e nonostante i numerosi solleciti, non sono riusciti a recuperare nulla: l’uomo, residente a Torino nel quartiere Crocetta, risulta nullatenente. “Oltre il danno – commenta il legale dei ricorrenti, l’avvocato Alice Merletti dello studio legale Alfero-Merletti – è arrivata anche la beffa: la tassa di registro, intorno ai tremila euro. Avrebbe dovuto pagarla lui, ma è scomparso”. Nel 2009 il commercialista fu accusato di aver raggirato un professore universitario. (ANSA).

http://www.cronacaqui.it/torino/non-segue-la-pratica-e-i-clienti-falliscono-commercialista-condannato-ma-e-nullatenente.html

Cuneo: la tavola rotonda sul destino del corpo e la memoria

“Il destino del corpo e la memoria” è il titolo della tavola rotonda che si è svolta  martedì 20 febbraio 2018 in Sala San Giovanni a Cuneo.
Si tratta di un appuntamento culturale che guarda alle nuove realtà che stanno maturando sul territorio – spiega Ana Cristina Vargas, direttore scientifico di Fondazione Fabretti -. L’incontro vuole offrire un’occasione di confronto e riflessione su un tema tabù: quello del fine vita. Un argomento di cui si parla poco e male. Vogliamo affrontarlo attraverso persone qualificate con un occhio di riguardo a temi di stretta attualità, come il significato della cremazione oggi e il quadro normativo, le scelte di fine vita, la morte nell’era digitale, il rito del commiato e il sostegno al lutto”.
La tavola rotonda è stata organizzata dalla Società per la Cremazione di Torino, la Fondazione Fabretti e la So.crem di Bra, con il patrocinio della Città di Cuneo.
L’incontro, a ingresso libero era aperto a tutti.
Dopo il saluto delle autorità cittadine e dei presidenti So.crem di Bra e SOCREM Torino Gian Massimo Vuerich e Giovanni Pollini sono intervenuti innumerevoli relatori.
Adriano Favole dell’Università di Torino e presidente di Fondazione Fabretti ha aperto  gli interventi con riflessioni antropologiche sul fine vita. Il tema della cremazione nel panorama normativo è stato affrontato dall’avvocato e consigliere SOCREM Torino Alice Merletti. Il rito del commiato è stato invece presentato dal cerimoniere Carlo Giraudo; a seguire il filosofo ed esperto in ‘Digital death’ Davide Sisto ha affontato un tema peculiare: il senso della morte nella società digitale. Di percorsi decisionali e scelte di fine vita ha poi parlato Valeria Cappellato dell’Università di Torino. Ha magistralmente chiuso gli interventi il direttore scientifico di Fondazione Fabretti Ana Cristina Vargas sulla perdita e il sostegno al lutto.

 

Fuori dal Cimitero: è possibile costruire un ‘cimitero’ di urne?

Milano li ha pensati già qualche anno fa, Padova li ha realizzati nel mese di settembre 2015: sono i cd. “cimiteri di urne”. In realtà, le nuove strutture sono luoghi in cui vengono custodite le urne cinerarie affidate originariamente ai famigliari, situate al di fuori dell’area del cimitero e collocate in ogni singolo quartiere, che permetterebbero ai cittadini di poter visitare i propri cari con più facilità, senza dover ‘attraversare tutto il centro urbano’, e in una atmosfera più raccolta rispetto a quella del cimitero classico.
Ebbene, occorre esaminare se la disciplina attualmente vigente possa consentire di costruire/usufruire di una struttura, allocata fuori dalla fascia di rispetto cimiteriale prevista per legge, che funga da ricovero per le urne cinerarie e, in caso di risposta positiva, a quali condizioni.
Il Testo unico delle leggi sanitarie, dispone, al co. 1, che: “I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato”.
Il precetto risponde alle particolari esigenze igienico-sanitarie collegate alla sepoltura del cadavere, che si traducono non solo nella prevista fascia di rispetto, ma si concretizzano altresì nel più stringente divieto di “seppellire un cadavere in luogo diverso dal cimitero” (art. 340, co. 1, r.d. n. 1265/1934),
Tuttavia, tali esigenze non sussistono affatto in ipotesi di conservazione delle ceneri derivanti da un cadavere già cremato. Invero, la legislazione statale pare lasciare ampi margini di scelta in ordine al luogo nel quale conservare le urne cinerarie, a differenza che nel caso del seppellimento di cadaveri, disciplinando piuttosto altri profili attinenti la prevenzione del rischio di profanazione dell’urna, il controllo dell’effettiva destinazione dell’urna da parte dell’affidante, la garanzia della non dispersione dell’urna (art. 92, co. 4 e ss., d.p.r. 10.9.1990 n. 285 recante il Regolamento di polizia mortuaria).
La ratio è intuitiva: là dove le ceneri vengano deposte presso una struttura cimiteriale, quest’ultima è ontologicamente predisposta per garantire la sicurezza e la continuità della affidamento delle ceneri. Diversamente, l’affido privato comporta, da un lato, che l’urna venga collocata in uno spazio non originariamente a ciò predisposto, inoltre, nella vita del singolo affidatario diverse possono essere le motivazioni che portano l’urna cineraria ad essere “spostata” (trasferimento) o abbandonata a se stessa (decesso dell’affidatario).
Se così è, si deve verificare: a) se nell’ipotesi di affidamento ad un familiare, questi possa indicare una struttura terza, diversa da quelle legislativamente previste (cimitero, cappelle private o gentilizie), per la collocazione delle ceneri; b) se tale struttura debba essere allocata ad almeno 200 mt. dal centro abitato in quanto ricadente nella nozione di “cimitero”. Quanto al primo quesito, le Regioni, dotandosi di propri regolamenti, hanno disciplinato le modalità di indicazione da parte dell’affidatario familiare del luogo ove l’urna cineraria verrà custodita. A livello generale, non sono previsti divieti di conservazione in luoghi particolari. Se si ammette, quindi, che più urne cinerarie possano essere collocate al di fuori della fascia di rispetto cimiteriale, va accertato se tale operazione incontri limiti o condizioni alla sua realizzazione.
Una tale ipotesi non è espressamente prevista dalla legge, che sottace la possibilità per l’affidatario familiare di individuare una struttura terza per la custodia dell’urna.
In conclusione: la normativa esistente pur non prevedendo specificatamente questo nuovo tipo di struttura parrebbe poter essere plasmata all’esigenza, sempre più sentita dai cittadini, di poter conservare l’urna cineraria in un luogo vicino a casa, magari proprio nello stesso quartiere in cui i famigliari del defunto vivono.
Tuttavia, occorre tenere conto che, a seguito delle modifiche introdotte al titolo V, parte seconda, della Costituzione (l. 18.10.2001 n. 3), la materia trattata è disciplinata anche dalle singole Regioni, nonché dai Comuni, e, pertanto, ogni singola iniziativa dovrà essere attentamente ponderata.

Funerali di Stato

 

“lo stato del lutto non è prodotto di emozioni ‘naturali’, bensì di rappresentazioni collettive” (R. Herz, “Contribution à une étude sur les représentations collectives de la mort”, 1907).

In Italia, è ancora vivo il ricordo delle esequie celebrate in occasione degli atroci assassinii dei giudici Falcone e Borsellino. Ma anche di recente, la Nazione è stata posta innanzi alle immagini delle cerimonie funebri organizzate in occasione degli eventi sismici che hanno interessato il centro Italia.
Si tratta di “riti funebri peculiari” per onorare il ricordo di personalità importanti o in occasioni di eventi ritenuti “straordinari”.
Dal punto di vista normativo, la l. 7.2.1987 n. 36 disciplina le esequie di Stato ovvero i funerali delle cariche più alte dello Stato, dei Ministri, di cittadini o stranieri o apolidi che abbiano illustrato la Nazione o che siano deceduti in conseguenza di azioni terroristiche o di criminalità organizzata. La cerimonia segue le indicazioni rese dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 18.12.2002 e le spese sono a carico del bilancio pubblico.
Più in particolare:
• il feretro è contornato da sei carabinieri in alta uniforme, o appartenenti allo stesso Corpo dello scomparso;
• sono previsti gli onori militari al feretro all’ingresso del luogo della cerimonia e all’uscita;
• è imprescindibile la presenza di un rappresentante del Governo nonché una orazione commemorativa ufficiale.
Possono, inoltre, essere previsti altri adempimenti disposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Qualora poi sia dichiarato il lutto pubblico nazionale (o locale), le bandiere degli edifici pubblici sono poste a mezz’asta. Non solo, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale può altresì fornire istruzioni ai titolari delle Rappresentanze diplomatiche e consolari italiane. Se lo scomparso era titolare di una carica pubblica, la camera ardente può essere allestita – se è desiderio della famiglia – nella sede della stessa istituzione. Negli altri casi saranno seguite la volontà dei parenti, le consuetudini dell’ente o locali. La famiglia dello scomparso sceglie il luogo della celebrazione, consultandosi con l’Ufficio del Cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Fuori dei casi di esequie di Stato, nell’ipotesi di eventi luttuosi che abbiano colpito la coscienza comune, la stessa l. n. 36/1987 prevede i funerali solenni celebrati con un rito non dissimile da quello esaminato.
I funerali solenni sono dunque una ipotesi residuale e “generica” che può essere “riempita di significato” dalle Istituzioni, a seconda delle esigenze e del sentir comune.
Segnatamente, se da una parte è oramai prassi consolidata che per i decessi occorsi durante alluvioni o terremoti si ricorra ai funerali solenni (con o senza dichiarazione di lutto nazionale), dall’altra lo stesso protocollo è stato osservato in occasione della scomparsa di presentatori televisivi di successo o di scienziati di rilevanza internazionale.
Ben si comprende, quindi, la ragione per cui si ritiene che proprio in questo ambito si esprimi maggiormente la discrezionalità dell’Ente. Invero, la Autorità pubblica ha il delicato compito di intercettare il volere ed sentir comune, includendo talora tra le esequie solenni ipotesi disparate, e dall’altro, di rispettare il dolore e la riservatezza di quanti, colpiti da un lutto “pubblico”, desiderino, ciò non di meno, vivere questo momento nel privato.

Alice Merletti

“Droit et cremation: le statut juridique des restes humains” – La disciplina dei resti mortali

La cremazione costituisce una pratica funeraria alternativa alle altre più diffuse (l’inumazione e la tumulazione).
In Italia, a partire dall’art. 12, comma 4 d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito, con modificazioni, nella l. 29 ottobre 1987, n. 440, vi è stata una sorta di parificazione della cremazione alla pratica funeraria dell’inumazione.
Tuttavia, all’interno della cd. ‘legislazione riguardante la cremazione’ va considerato con la debita attenzione la diversità che si riscontra quando sia richiesta la cremazione di cadaveri, nella fase dell’immediato post mortem, rispetto a quando sia richiesta la cremazione in momenti successivi. La diversità che si accentua anche quando si discorre di cremazione di resti mortali, o anche di cremazione di ossa depositate in ossario comune. È questo un aspetto che va tenuto presente, considerando come il termine stesso di “cremazione”, in Italia, debba essere riferito alla “cremazione dei cadaveri”, ogniqualvolta non sia altrimenti specificato che la pratica funeraria riguardi altro.
Quanto ai resti umani, i cadaveri come noto durante la loro permanenza nella tomba, sia essa una fossa di terra oppure un tumulo, sono soggetti a diverse trasformazioni di stato intermedie prima di degradare a semplice ossame e, quindi, in polvere.
L’attività cimiteriale è ciclica e non ad accumulo, è, dunque, finalizzata alla scheletrizzazione dei corpi e non al loro mantenimento nella condizione di integrità immediatamente successiva al decesso, proprio per assicurare spazio alle nuove sepolture; quindi, dopo il periodo di sepoltura legale, si eseguono le operazioni di esumazione o estumulazione volte a rimuovere le vecchie tombe (con il loro contenuto), così da poterle riutilizzare.
Dal 1987, da quando entrò in vigore il vecchio regolamento di polizia mortuaria per ogni cadavere, anche tumulato, deve esser fissato un tempo massimo di sepoltura (coincidente, quasi sempre, con l’esaurirsi della concessione) oltre il quale si procede con il disseppellimento proprio per verificare l’avvenuta mineralizzazione dei tessuti organici e provvedere alla raccolta delle ossa. Sono, infatti, vietate le concessioni perpetue.
Tuttavia, come è noto, particolari condizioni ambientali (chimiche e fisiche) possono modificare radicalmente i processi di decomposizione della materia organica, quindi non è sempre vero che all’atto dell’apertura della tomba si rinvengano solo ossa, spesso, in effetti, i corpi sono ancora incorrotti.
Il maggiore dei problemi gestionali per i cimiteri italiani è proprio questo: i morti non si scheletrizzano nei tempi e nei modi previsti.
Già in molte città si avvertono percentuali di indecomposti che variano fra il 20-30% e il 50-60% ed anche più in caso di estumulazione.
Dal 1990 in Italia si è cominciato ad avvertire l’esigenza di affrontare questa difficoltà strutturale.
Il regolamento di polizia mortuaria non ha in origine introdotto nuovi strumenti operativi, limitandosi a prescrivere per gli estumulati non ridotti a cenere un ulteriore periodo di interro.
Solo a partire dal 1998, prima con la Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10, poi la Legge 30 marzo 2001 n. 130 ed infine con il DPR 15 luglio 2003 n. 254 i cadaveri indecomposti vengono detti “Resti Mortali”, ossia esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo. Sebbene tale definizione entra a far parte del linguaggio tecnico, la stessa definizione non distingue i resti per il loro stato di reale conservazione.
Si tenga conto che a livello leglislativo italiano ancor adesso tutti questi aspetti sono stati regolati anche da una serie non sempre coerente e pressoché mai uniforme, di norme regionali.
A livello statale, in ogni caso, i cadaveri inconsunti, se dalla prima sepoltura sono passati gli anni di sepoltura legale (10 per l’inumazione, 20 per la tumulazione), cessano di esser tali e divengono ‘resti mortali’, ossia una nuova fattispecie cimiteriale cui l’ordinamento giuridico italiano riserva riconoscimento e protezione affievoliti rispetto al cadavere.
Invero, il DPR 15 luglio 2003 n. 254, per i resti mortali ed ossame applica le stesse norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare il resto mortale o le ossa. Non è più necessaria, infatti, la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato.
La cremazione dei resti mortali e delle ossa può esser tuttavia anche deliberata d’ufficio da parte del Comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto. La loro opposizione o contrarietà alla cremazione, invece, deve sempre esser rispettata.
Il disinteresse si qualifica come un atteggiamento inequivoco protratto per un tempo sufficientemente lungo e certo o quale mancanza di soggetti titolati a decidere sulla destinazione alternativa di ossa e resti mortali.
Ed è qui che si coglie la profonda differenza di legislazione tra cadavere e resto mortale.
Invero se per il primo la manifestazione della volontà sia essa del De Cuius o dei Parenti è importante affinchè la cremazione possa essere effettuata; per i resti mortali l’assenso all’incinerazione è tecnicamente una mancata opposizione in ipotesi di intervento comunale.
Da ciò ne deriva che non ha natura di istanza rivolta alla pubblica amministrazione, poiché il procedimento non ha luogo ad impulso dei familiari, come avviene, invece, per la cremazione dei cadaveri.
Questi sono i principi generali che disciplinano i resti mortali.
Tuttavia la legislazione italiana non è omogenea né ha risposto a tutti i quesiti che nella prassi si pongono gli operatori del diritto.
Esempio di ciò è la cd. questione della sogliola.
Una tecnica di tumulazione non disciplinata da nessuna legge, ma solo nella prassi, per altro contra legem, che consiste nel porre i resti non decomposti del tutto in una cassa di zinco di medie dimensioni (più sottile della cassa normale ma più grande della cassettina per ceneri o resti cd. sogliola). Il fine è quello di limitare lo spazio ottenendo un posto-salma, poichè nello stesso loculo possono stare una cassa grande ed una “sogliola”.
Invero, l’art. 77 D.P.R. n. 285/1990 impone per la tumulazione di cadavere la duplice cassa prevista dall’art. 30 D.P.R. n. 285/1990. In alternativa, per la nuova tumulazione del resto mortale precedentemente estumulato è obbligatoria la bara con cassone zincato ai sensi dell’art. 88 D.P.R. n.285/1990 solo in una ipotesi specifica: l’esistenza di parti molli, con conseguente percolazione di liquidi post mortali (ai sensi del paragrafo 3, III Periodo Circ. Min. 31 luglio 1998 n. 10).
Tuttavia nella prassi non solo le casse di zinco vengono utilizzate per tentare di risolvere gli inevitabili problemi di spazio esistenti, ma alcuni regolamenti regionali e disposizioni comunali prevedono espressamente le cd. “sogliole”.
Tale esempio – uno dei molti presenti nella disciplina italiana – prova quanto la legislazione di settore italiana non sia omogenea né organica né risponda in modo puntuale alle chiare ed esigenze degli operatori del settore.