FOOD DELIVERY e COSTITUZIONE

 

Mentre da una parte dell’Italia, i giuristi torinesi invocano il ripristino delle garanzie costituzionali con una lettera aperta al premier Conte, dall’altra parte si sollevano gli imprenditori della ristorazione eccependo questioni di incostituzionalità in un settore particolarmente colpito dalla situazione emergenziale.
Ebbene, la possibilità di svolgere la propria attività mediante “delivery” è stata la grande opportunità offerta in questo periodo alla ristorazione. In attesa della fine dell’emergenza e di nuove direttive da parte del Governo, ristoranti, bar, trattorie, fast-food, pertanto hanno potuto svolgere la propria attività attraverso la consegna a domicilio, seguendo le norme per il trattamento dei cibi e quelle in ambito di sicurezza e privacy, con le dovute precauzioni dettate anche dalla disciplina emergenziale.
Quindi si è lasciata sin da subito la possibilità che i ristoranti consegnassero a domicilio, anche mediante l’ausilio di apposite piattaforme per la consegna, come strumento che potesse, in parte, garantire una entrata ad uno dei settori maggiormente colpiti economicamente da questa pandemia.
Tuttavia, le disposizioni nazionali che si sono succedute in questi due mesi hanno lasciato ‘qualche spazio’ alla autonomia di alcune Regioni.
La Campania, in particolare, ha ritenuto di vietare il delivery, almeno sino al 22.4.2020, giorno in cui è stata adottata una delibera che, pur facoltizzando tale attività, impone disposizioni certamente molto più restrittive di quelle nazionali, al punto che, a detta di molti,  la riapertura in questa Regione sostanzialmente sarebbe antieconomica.
Un misura Costituzionalmente legittima? Probabilmente no.
L’escalation ostativa alle attività in delivery, come anche la parziale apertura tardiva e restrittiva rispetto a quella del resto del Paese, è sicuramente dettata da apprezzabili preoccupazioni sanitarie. Ciò non di meno la tecnica redazionale si espone a numerose critiche, anche sotto il profilo costituzionale di disparità di trattamento e limitazione della libertà imprenditoriale. Tutte censure mosse innanzi al TAR Campania con ricorso presentato da un noto imprenditore della zona. Allo stato si attende la pubblicazione del provvedimento adottato dal Collegio a seguito della Udienza in Camera di Consiglio, tenutasi pochi giorni fa (21.4.2020).
Tuttavia, nelle more, con la citata ordinanza 22.4.2020 n. 37, la Regione ha deciso una sostanziale modifica consentendo con limiti di orario precisi le attività e i servizi di ristorazione – fra cui pub, bar, gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie e pasticcerie – con la sola modalità di prenotazione telefonica ovvero on line e consegna a domicilio.
Su tale argomento, abbiamo domandato all’imprenditore Enrico Schettino, amministratore del gruppo Giappo, ristoratore presente principalmente nel Sud, ma anche in Piemonte nell’aeroporto di Caselle  (per un totale di 18 ristoranti sushi), di spiegarci cosa è accaduto nella Regione Campania prima dello sblocco del food delivery del 22.4.2020 e quali prospettive si stagliano all’orizzonte.

Il governatore della Campania ha detto NO al delivery.
Tutto chiuso: bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie. Nessuno ha potuto consegnare cibo a domicilio per quasi 2 mesi.

Perché, secondo Lei la Regione Campania ha vietato il Food Delivery sino al 22.4.2020?

Una scelta dettata dalla preoccupazione sulla salute pubblica. Un giusto fine, che si è scontrato con una diseguaglianza gestionale notevole.
Mentre supermercati e piccoli alimentari incrementavano le consegne a domicilio, la ristorazione restava esclusa.
I runner dei colossi del cibo a domicilio, quindi, hanno continuato a viaggiare: hanno solo cambiato punto d’origine.
Amazon ha continuato a consegnare. L’assurdo si è raggiunto a Pasqua: era possibile ordinare pastiere e specialità tipiche pasquali dalle altre regioni, ma non dalle aziende della propria terra.

Cosa ha indotto la Regione a modificare il proprio intendimento?
Combattendo per i nostri diritti e quelli delle aziende della nostra regione.
Il Governo non ha previsto distinzioni sul piano fiscale, a seconda delle regioni. Ha previsto prestiti, laddove servirebbero finanziamenti a fondo perduto.
La Regione Campania ha stanziato somme di 2.000,00 € per aziende che hanno un fatturato minore di 100 mila euro annui.
Nessun ristorante fattura una cifra così bassa, perché non starebbe in piedi.
Una disparità che ci ha svantaggiato rispetto a tutte le aziende d’Italia: mentre gli altri hanno continuato a fatturare, noi siamo rimasti chiusi.

Ritiene che l’apertura al delivery inciderà economicamente e, se si come, sul settore?
Facciamo delivery da 12 anni, è parte integrante del nostro business. Oggi che c’è l’esigenza di restare a casa, va incentivato il delivery perché è un servizio per la collettività.
Chiaramente servono supporti economici sul lungo periodo per garantire di evitare licenziamento e fallimenti, riducendo tasse, accordando crediti d’imposta ai proprietari sui canoni di locazione, prolungando la cassa integrazione in deroga.

Quali sono le prospettive del mondo ristorazione in fase post Covid?
Cadranno gli sprovveduti.
Diminuiranno i fatturati i ristoranti con molti posti a sedere.
Ne risentiranno molto quelli che offrono un’esperienza, oltre che buon cibo: parlo di stellati e ristoranti gourmet di alto profilo.
Il resto vivrà di take away e delivery per almeno 6 mesi: va considerata una riduzione del 50% tra decremento di posti a sedere ed aumento della richiesta delivery

SPID: la nuova identità digitale

SPID: emanate le linee guida per firmare i documenti online

In un mondo in cui il digitale sta coadiuvando ognuno di noi, specialmente in questo momento, ulteriori passi avanti sono stati fatti per rendere maggiormente semplice e sicuro la formulazione di istanze e richieste via web. È arrivato il sistema SPID.

Che cosa è lo SPID?

SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) è il sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione e dei privati aderenti nei rispettivi portali web, introdotto con il DPCM del 24 ottobre 2014, pubblicato sulla G.U. Serie Generale No285 del 9 dicembre 2014.

In cosa consiste?

Attraverso l’identità SPID – creata con username e password – i privati possono accedere e fruire dei vari servizi tramite computertablet e smartphone. La firma con SPID andrà ad affiancare la già nota firma elettronica qualificata che la gran parte di professionisti e operatori economici utilizzano da tempo.

Che valore ha la firma SPID?

La firma con SPID ha un valore giuridico equiparabile a tutti gli affetti alla firma autografa, dando la possibilità ai cittadini di sottoscrivere personalmente tutti gli atti, senza prescindere dal requisito della forma scritta.
Dove si possono trovare le indicazioni specifiche a riguardo?

A seguito di un’accurata consultazione svoltasi dal 21 novembre al 28 dicembre 2019, con un comunicato del 26 marzo 2020, l’AgID ha emanato le Linee Guida che consentono di firmare documenti online con SPID, in conformità all’art. 20 CAD.

L’obiettivo principale delle suddette Linee Guida è la completa digitalizzazione dei documenti.

Le nuove regole disciplinano le modalità con cui i fornitori di servizi online possono permettere agli utenti di sottoscrivere atti e contratti tramite la loro identità digitale.

I NUOVI SPAZI PER IL FINE VITA

Come si sta muovendo la legislazione per rispondere alla necessità di creare luoghi deputati ad ospitare le salme?

Il trapasso è un momento spazio temporale determinato e caratterizzato da un forte contenuto emotivo e spirituale. Anche a livello di collocazione il luogo ove viene celebrato il rito funebre e/o dove viene ospitata la salma rappresenta un elemento importante in questo settore di riferimento.

Quale sia lo spazio idoneo al morire e dove sia preferibile accogliere la salma è quindi un interrogativo importante, determinato anche dal cambiamento degli usi e dei costumi locali e dal pluralismo che caratterizza l’attuale società.
Pur dovendo ammettere che il legislatore non ha forse ancora colto appieno le necessità espresse dalla popolazione (come ad esempio il bisogno sempre più crescente di istituire luoghi aconfessionali dove poter dedicare un momento di riflessione nel ricordo del defunto), vero è che la normativa vigente, sia statale che regionale, dal 2004 quantomeno recepisce l’esigenza di realizzare luoghi preposti ad ospitare il defunto, implementando il plesso delle attività necroscopiche e funebri.

La disciplina fondamentale in tema di attività funerarie è contenuta, come è noto, nel T.U. delle leggi sanitarie (Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265), ed in particolare al titolo VI (del regolamento di Polizia Mortuaria). Tale normativa è volta a stabilire l’ubicazione e le caratteristiche dei cimiteri, affrontando prevalentemente i profili sanitari, con riflessi su quelli di natura urbanistica. Il regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. n. 285 del 10 settembre 1990) reca inoltre disposizioni, tra le altre, in materia di obitori (capo III), di trasporto dei cadaveri (capo IV), sui cimiteri (capo IX e X), sulle sepolture private nei cimiteri (capo XVIIII) e sui sepolcri privati fuori dai cimiteri (capo XXI). Alle Regioni spetta l’elaborazione di piani ad hoc e leggi specifiche.

Si tenga presente che l’ottica normativa è quella classica da regolamento di polizia mortuaria, ovvero si prende spunto dalla ratio igienico-sanitaria e, in parte, urbanistica, per fissare dei paletti entro cui i privati possono realizzare luoghi quali case funerarie e sale del commiato. È compito, in ogni caso, del Comune regolamentare l’attività, secondo principi uniformi stabiliti con normativa statale eventualmente integrati dalla normativa regionale.

Tuttavia il lessico che si va ad utilizzare e che viene usato anche in ambito di leggi regionali, a volte non sempre è preciso generando spesso confusioni.
Invero, le case funerarie sono dotate dei requisiti igienico sanitari e attrezzature per l’osservazione della salma e possono prevedere l’esercizio dell’attività di imbalsamazione e tanatoprassi secondo le modalità e i termini stabiliti da appositi provvedimenti regionali e nazionali. Presso le case funerarie possono sostare per brevi periodi, in attesa del trasporto, feretri destinati ad inumazione, tumulazione o cremazione. Nelle case funerarie i servizi per il commiato possono essere altresì destinati alla celebrazione delle esequie civili o religiose per appartenenti a confessioni religiose che non dispongano di locali adatti a tale scopo.
La sala del commiato, nel suo significato più restrittivo, è lo spazio ove garantire la ritualità, di norma a feretro chiuso, nel qual caso alla struttura non è richiesto di dotarsi di tutte quelle accortezze igienico-sanitarie e urbanistiche previste per le case funerarie.
Per essere più chiari la netta differenza tra casa funeraria e sala del commiato risiede nella possibilità di ospitare il feretro a cassa aperta (la prima) o chiusa (la seconda).

Non tutti i piani regolatori prevedono però un indirizzo urbanistico ad hoc, e, pertanto, le singole città classificano la destinazione ancora sulla base di indici a volte peculiari (per non dire criticabili).

Interessante è notare che è pendente una proposta di legge innanzi alla Camera (A.C. 1143) volta a consentire un allargamento delle competenze ipotizzabili per i gestori delle case funerarie che permetterebbe agli stessi di “costruire e gestire forni crematori“ampliando così la possibilità di realizzare impianti crematori fuori dalle mura cimiteriali, in linea con il trend europeo che vede i crematori quali attività esercitabili anche in forma privata, fuori dalle zone cimiteriali. Insomma, un‘opportunità ulteriore di espansione del settore che si registra in netto contrasto con quella alla base delle norme attualmente in vigore, viceversa, di stampo tutto regionale, che impongono una acclarata incompatibilità tra attività funebre e di gestione dei servizi cimiteriali e di cremazione, nonché limitazioni precise all’apertura di nuovi poli crematori sulla base di indici di mortalità, distanza e quant’alto.

AVV. ALICE MERLETTI & AVV. ELENA ALFERO