LA GIUSTIZIA ONDIVAGA SUL DIRITTO AL FINE VITA 

La vicenda del marchigiano Mario riapre la discussione sul suicidio assistito che approda alla Camera.

La vicenda del 43enne tetraplegico nelle Marche, che nell’articolo chiameremo Mario come hanno già fatto i giornali italiani nelle scorse settimane, finita su tutti i quotidiani nazionali è indice della corrente ambivalente della giustizia italiana sul punto del diritto al fine vita.

La storia di Mario

Siamo nelle Marche, un signore di 43 anni, valutati i requisiti enunciati dalla sentenza della Consulta nel caso Cappato, ha convenuto in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale delle Marche, in un procedimento di urgenza, per richiedere la prescrizione del farmaco conosciuto come “Triopentone”, un veleno, che gli potesse permettere di porre fine alla sua esistenza poiché già estremamente compromessa, costretta ad una vita di limitazioni, scandita da una tetraplegia incurabile.

Vicenda diversa, dunque, dalla sentenza della Corte Costituzionale ‘Cappato’ (Corte Cost. 242 del 2019) la quale, lo ricordiamo, prevede la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio, nella misura in cui siano presenti le caratteristiche degli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, ovverosia se siano state correttamente depositate le cosìddette DAT. 

Dunque pur essendo il fatto oggetto del giudizio differente, il ricorso presentato da Mario, 43 enne marchigiano, poggia sui principi suinnanzi enunciati, e forte di questi, domanda l’intervento della giustizia.

Ebbene, il Tribunale marchigiano nel vagliare la richiesta del quarantatreenne, invece, si dimostra ben conscio dell’interpretazione dei requisiti della sentenza Cappato ma sorprendentemente se ne discosta; nel rigettare il ricorso in prima battuta il Tribunale sostiene che:

“Non sussistono quindi motivi per ritenere che, individuando le ipotesi in cui l’aiuto al suicidio può ritenersi penalmente lecito, la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente […] ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza; né può ritenersi che il riconoscimento dell’invocato diritto sia diretta conseguenza dell’individuazione della nuova ipotesi di non punibilità tenuto conto della natura polifunzionale delle scriminanti, non sempre strumentali all’esercizio di un diritto.”

In tal senso dunque il Tribunale non riconosce il proprio potere di imporre alla Pubblica Amministrazione la prescrizione di un farmaco che permetta il fine vita, né altresì questiona sul procedimento dell’amministrazione sanitaria che ha portato a negare la possibilità che si potesse porre fine all’esistenza del soggetto ricorrente di fronte al giudice ordinario medesimo.

La Corte Costituzionale, invece, lo ricordiamo ha “bacchettato” in più occasioni il legislatore, chiedendo una applicazione conforme della costituzione alla legge sulle DAT. Eppure tale “tirata di orecchie” è ben lontana dalla posizione espressa dal Tribunale di merito che decide di rigettare dunque il ricorso.

Sembrerebbe quindi che l’orientamento del giudice ordinario per quanto di primo livello, sia quello di interpretare la norma della legge 219/2017 in senso restrittivo rispetto al fine vita, sostanzialmente limitando l’operatività del giudice nella decisione, assurgendo che l’amministrazione sanitaria sia in grado di discernere l’opzione migliore.

Questo accade però nel marzo 2021, tuttavia, il 43enne non si arrende e propone reclamo.

A giugno, la Corte di Ancona, riconoscendo tutte le problematiche riguardanti il vuoto normativo creatosi con l’interpretazione costituzionalmente orientata dal caso Cappato ed altresì riconoscendo gli errori valutativi effettuati dal giudice di prime cure, accoglie il ricorso stravolgendo la prima decisione.

La Corte si esprime positivamente sulle richieste del ricorrente e manda la palla al Comitato Etico della Regione Marche affinché lo stesso vagli il caso di specie e decida se siano sussistenti i requisiti nel caso specifico per l’interruzione dello stato vitale, nonché se le modalità richieste siano idonee (la qualità e la quantità della medicina da assumere).

Il Comitato Etico – richiamato all’ordine – si pronuncia quindi in senso favorevole alla richiesta di Mario.

Sembra dunque una vittoria.

Ma… vi è un ma. Lo stesso Comitato ritiene viceversa non conformi le modalità proposte dal 43enne per giungere al risultato sperato.

Ci si trova dunque nuovamente nel limbo del “cosa fare”, nonostante due provvedimenti giudiziari opposti e un parere favorevole del Comitato.

La discussione alla Camera

Lunedì 13 dicembre la discussione sul suicidio assistito è arrivata alla Camera dopo anni di attesa. Purtroppo in un’Aula semideserta dove una manciata di deputati ha portato la propria posizione in merito ad un argomento tanto delicato e controverso. Le vicende che hanno segnato il percorso di questa discussione sono note ed hanno avuto grande eco sui quotidiani nazionali, su tutte ricordiamo quella di Piergiorgio Welby e quella di Eluana Englaro. Il testo è stato messo a punto in tre anni nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali ed i relatori Bazoli e Provenza ne hanno richiesta una discussione calma ed equilibrata a chi ha preparato un intervento. Il primo confronto non ha però portato a un dibattito e nuova calendarizzazione della prossima discussione e termine per presentare gli emendamenti sono stati rimandati a data da definire.

Poi pochi giorni fa la notizia. Mentre il referendum sul suicidio assistito veniva ”bocciato” è volta al termine la vicenda, ed alla fine a Mario gli è stato somministrato anche il farmaco originariamente richiesto: dopo mesi di lotte.

Insomma di strada ve ne era ancora da compiere, ma il percorso sembra segnato: la l. 219/2017 esiste, i diritti ivi riconosciuti debbono essere tutelati e non possono rimanere meri enunciati.

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