Il Caso Cappato: la nostra intervista alla dott.ssa Cristina Vargas della Fondazione Fabretti

IL CASO CAPPATO: UNA SENTENZA STORICA

All’indomani dalla sentenza della Corte Costituzionale abbiamo intervistato Ana Cristina Vargas, Direttore scientifico della Fondazione Fabretti, per uno scambio di opinioni in merito.

Marco Cappato è stato protagonista il 25.9.2019 di una sentenza storica, come storico è stato il gesto di Marco Cappato. Il procedimento per cui è causa nasce da un atto di disobbedienza civile: Cappato si autodenuncia dopo aver portato in una clinica svizzera per morire DJ Fabo, l’amico oramai cieco ed immobilizzato. Lo fa appositamente per trascinare in una aula di Tribunale la questione affinché possa essere decisa, mettendo sotto accusa il sistema. E, tappa dopo tappa, la vicenda è arrivata fino al giudice delle leggi.

La sentenza della Corte Costituzionale sul “caso Cappato”

La Corte, per la verità, si era già espressa una volta, affermando che il legislatore sarebbe dovuto intervenire non solo sull’art. 580 c.p. quanto sulla legge 22.12.2017 n. 219 (cd. DAT) ovvero le dichiarazioni anticipate di trattamento, di recente adozione. Con ordinanza n. 207/2018 art. 580 c.p., ovvero la norma che sanziona l’istigazione o l’aiuto al suicidio, la Corte Costituzionale aveva rinviato al 24.9.2019 la loro decisione, per consentire “al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, per la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 cod. penale…”
A seguito della ordinanza della Corte, tuttavia, né il Senato né la Camera sono giunti ad un testo di modifica della legge sulle DAT, al punto che la stessa Commissione alla Camera ha cristallizzato il fallimento dell’iniziativa politica acclarando che il potere legislativo avrebbe atteso la Corte Costituzionale prima di qualsivoglia intervento legislativo.

Di qui, la sentenza del 25.9.2019, che non dovrebbe lasciare ulteriori esiti al legislatore. La Corte Costituzionale ha infatti statuito che per le questioni sollevate dalla Corte d’Appello di Milano sull’art. 580 c.p. che riguardano l’istigazione o aiuto al suicidio “non è punibile a determinate condizioni chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente. La Corte sottolinea chel’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili.
La Corte entra così a gamba tesa in un dibattito oramai annoso, richiamando il legislatore nell’intento di farlo intervenire prontamente sull’argomento. Nel contempo i Giudici forniscono una base di lavoro al Parlamento affinché vi sia la promulgazione di una legge ad hoc.

Intervista ad Ana Cristina Vargas, direttore scientifico Fondazione Fabretti

Con questo arresto giurisprudenziale si tocca un argomento sensibile, quello delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Argomento che coinvolge l’ambito dell’umano e le difficoltà  che la nostra società incontra di fronte al fine vita. Proprio per tale motivo abbiamo rivolto alcune domande alla dott.ssa Ana Cristina Vargas, antropologa e direttore scientifico della Fondazione Fabretti Onlus.

Cristina Vargas, che significato può avere questa sentenza all’interno del percorso che ha portato il legislatore sin qui?

Commentare una sentenza da ‘non giuristi’ è sempre molto complicato, quindi vorrei precisare che affronto il tema da una prospettiva antropologica e sociale. Mi sembra importante sottolineare che questa sentenza si inserisce in un processo più ampio di ripensamento del concetto di autodeterminazione del malato, che si sta concretizzando in una maggiore tutela della libertà di scelta rispetto al proprio corpo e alla propria salute. Si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma nell’approccio al fine vita. Fino a tempi molto recenti era infatti frequente che il malato terminale fosse tenuto all’oscuro delle proprie condizioni lasciando le decisioni ai medici e ai familiari. La fatica nell’accettare la morte spingeva, inoltre, a ‘fare tutto il possibile’ per salvare il malato, anche quando le terapie erano ormai inutili e implicavano sofferenze maggiori dei benefici. Questi problemi in parte persistono ancora oggi, tuttavia, grazie al movimento delle cure palliative e al lavoro di associazioni impegnate nel campo, sta maturando gradualmente un nuovo modo di intendere l’accompagnamento alla fine, che pone al centro l’informazione, la consapevolezza e la possibilità di decidere autonomamente come concludere il proprio percorso di vita”.

Cosa ne pensa di questa sentenza della Corte Costituzionale?

La sentenza sottolinea l’importanza della libertà di scelta, perno intorno al quale sembra articolarsi la decisione della Corte Costituzionale. In attesa della pubblicazione delle motivazioni, possiamo fare riferimento all’ordinanza 207 del 2018 in cui la Corte aveva messo chiaramente in luce che, come da tempo affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non esiste un vero e proprio ‘diritto a morire’, ma esistono situazioni (inimmaginabili ai tempi in cui la norma che disciplina l’istigazione o l’aiuto al suicidio fu redatta) in cui una persona capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetta da una patologia irreversibile che provoca sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, non può porre fine alla propria vita in forma autonoma. L’assistenza medica al suicidio, in questi casi, rappresenta l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto.Benché ancora problematico nella pratica, il diritto a rifiutare trattamenti sanitari, anche indispensabili per la sopravvivenza, è sancito dall’art. 32 della Costituzione ed è ribadito chiaramente dalla legge n. 219 del 2017. La sentenza della Corte Costituzionale rappresenta, in molti sensi, un’estensione del diritto all’autodeterminazione nelle situazioni in cui questo non può essere esercitato, in presenza delle condizioni che abbiamo già avuto modo di menzionare.Infine, può sembrare banale, ma mi sembra importante ricordare che la libertà di scegliere, per essere tale, deve includere la libertà di rifiutare di sottoporsi a una certa pratica o di eseguirla. Il riconoscimento, a precise condizioni, della possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito non dovrebbe imporre alcun obbligo a chi ne è contrario”.

Ritiene che la legislazione sulla dichiarazione anticipata di trattamento sia sentita come una esigenza dalla popolazione italiana?

I cittadini hanno dimostrato di essere favorevoli a tale scelta, ma al momento attuale regna una grande confusione. La Fondazione Fabretti, in collaborazione con SOCREM Torino, ha dato vita alla fine del 2018 a uno sportello informativo gratuito, aperto a tutta la cittadinanza, per rispondere ad eventuali domande, dubbi e perplessità. L’iniziativa è stata pubblicizzata esclusivamente attraverso i nostri canali ‘interni’ (come la newsletter e i social network), eppure abbiamo ricevuto numerose richieste. Credo, quindi, che le persone abbiano bisogno di capire meglio gli strumenti che la legge oggi mette a disposizione per poterli usare con consapevolezza. Ritengo fondamentale anche una maggiore conoscenza fra medici e gli operatori sanitari di strumenti come le DAT e la loro pianificazione, che, a distanza di quasi due anni, sono ancora sottoutilizzati e guardati con una certa diffidenza”.

Qual è quindi la conquista di questo 25.9.2019?

A mio parere si tratta di un primo passo importante nella tutela della libertà di scelta, ma è anche un intervento circoscritto, che lascia molte questioni insolute.Sarà indispensabile un intervento del legislatore che tenga conto di una serie di domande aperte, che vanno affrontate in modo sistematico. Con quali modalità si potrà attuare l’assistenza medica al suicidio? Chi avrà il compito di farlo? Con quali procedure si accerterà la sussistenza delle condizioni previste dalla sentenza? Quale il ruolo del Sistema Sanitario Nazionale? Ci sono casi che non rientrano nelle tipologie finora previste a cui potrebbe essere estesa la possibilità di ricevere un’assistenza al suicidio senza incorrere in rischi di abuso nei confronti di persone particolarmente  vulnerabili. Credo che uno dei grandi meriti di questa sentenza sia anche quello di aver messo al centro della scena un dibattito ormai improrogabile, che più volte si è arenato nell’iter parlamentare”.

La Corte ha richiamato la legge sulle DAT, affermando che non sia punibile ai sensi dell’art. 580 c.p. un soggetto là dove siano rispettate le modalità previste dalla normativa sul consenso informato. Sul punto, cosa ne pensa?

A mio parere è importante distinguere fra la Legge 219/17, che riguarda le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), e la sentenza della Corte costituzionale che, sebbene richiami questa legge, non interviene per modificarla. Il richiamo alla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua mi sembra fondamentale, perché mette in luce la necessità di essere adeguatamente informati e consapevoli prima di ricorrere a misure estreme. È infatti essenziale che una persona in condizioni di sofferenza sappia che la legge garantisce il diritto alla terapia del dolore e alle cure palliative, che contribuiscono concretamente a migliorare la qualità della vita di chi si avvicina alla morte, e che si può fare ricorso alla sedazione profonda continua durante le ultime fasi“.

A legislazione invariata cosa ritiene importante sottolineare di questa normativa attualmente in vigore?

Credo che sia necessario aprire un dibattito pubblico di ampio respiro perché si tratta di un tema che non riguarda solo i medici e il legislatore, ma tutta la società”.

AVV. ALICE MERLETTI & AVV. ELENA ALFERO

MODELLO ORGANIZZATIVO 231: PERCHÉ È IMPORTANTE PER LA TUA IMPRESA? Una breve ma esauriente disamina del “Modello organizzativo 231” e dei vantaggi per una azienda, anche di piccole dimensioni, che intenda adottarlo.

Tra andare esenti da responsabilità penale, rendere più efficiente il proprio sistema aziendale e conseguire punti di premialità, adottare un cosiddetto “Modello Organizzativo 231Continua a leggere

IL CASO NOA POTHOVEN: IN ITALIA COSA SAREBBE SUCCESSO

Un quadro generale sulla situazione normativa in Italia e negli altri Paesi europei in materia di eutanasia e di suicidio assistito.

Dopo la fake news, che ha fatto il giro del mondo, della morte on demand per adolescenti in Olanda, oggi sappiamo che la diciassettenne Noa Pothoven il 2 giugno è morta nella sua casa di Arnhem, nei Paesi Bassi, perché ha smesso volontariamente di alimentarsi e la famiglia non si è opposta alla sua decisione.

Siamo di fronte ad una situazione che non è propriamente ascrivile tra i casi di eutanasia o di suicidio assistito, che nella nostra Europa trovano soluzioni assai diverse, ma che ricade nella libertà, tra l’altro codificata recentemente anche in Italia, di rifiutare nutrizione e terapie. In Italia, le vicende di Dj Fabo, Eluana Englaro e Piergiorgio Welby hanno alimentato un dibattito sul fine vita che dura da ormai 20 anni.
Qui da noi, a differenza che in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera, l’eutanasia attiva è tuttora bandita come omicidio. Con il termine“eutanasia” (in greco antico, letteralmente, “buona morte”) si definisce l’intervento medico che procura la morte di una persona consenziente, malata o menomata in modo permanente. Dall’“eutanasia attiva”, che si ha quando viene somministrato un preparato o praticato un atto che determina direttamente la morte del paziente, differisce la sospensione di tutte le cure, in modo particolare l’alimentazione e l’idratazione, al fine di affrettare la morte del paziente, denominata “eutanasia omissiva/passiva”, ammessa, oltre che nei Paesi sopra citati, anche in Francia, Spagna, Svezia, Germania ed Austria. Va detto che la sospensione delle cure, cioè il principio su cui si basa l’eutanasia passiva, è considerata in Italia un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”). E proprio in base a questo principio, sono stati prosciolti i medici di Piergiorgio Welby.

Sul punto hanno fatto, in ogni caso, definitiva chiarezza le norme italiane sul biotestamento, entrate in vigore il 31.1.2018 con il titolo Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), consentendo  di “esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi”. Sono, quindi, ammessi in Italia la possibilità di decidere sulle proprie cure e il diritto di “rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi trattamento sanitario”compresi la nutrizione e l’idratazione artificiale. Altri punti importanti contenuti e ribaditi nella legge sono il divieto di “ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure, in caso di pazienti in imminenza di morte” e il ricorso alla sedazione palliativa profonda, in accordo con il paziente, che viene addormentato continuando a respirare autonomamente fino all’eventuale perdita di coscienza, che può permanere fino al decesso naturale.

Da ultimo, è considerato un reato dalla legge italiana ed è equiparato alla istigazione o aiuto al suicidio il suicidio assistito in cui, a differenza dell’eutanasia, il medico non compie in prima persona l’atto necessario per porre fine alla vita e alle sofferenze del malato. In questo caso, il medico si limita a fornire al paziente i mezzi utili a compiere questo gesto, senza intervenire direttamente. É la vicenda di Dj Fabo, che ha posto fine alla sua vita mordendo un pulsante che ha attivato l’iniezione di un farmaco letale. Attualmente, il processo nei confronti di Marco Cappato, imputato per avere aiutato l’amico a recarsi all’estero per ottenere il suicidio assistito, è ancorato al verdetto della Corte Costituzionale sulla legittimità o meno del reato di istigazione al suicidio. Verdetto che la Consulta ha deciso di rinviare al 2019, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare quello che è stato definito come “un vuoto legislativo”, considerato che – hanno scritto i Giudici della Corte – “L’attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”.

Auspicando che il gap venga colmato quanto prima, rimaniamo in attesa degli aggiornamenti legislativi in materia di cui vi daremo prontamente conto.

AVV. ALICE MERLETTI & AVV. ELENA ALFERO

La cremazione in Europa: diamo qualche dato….o forse no? – ecco il nostro nuovo articolo su “Oltre Magazine”

LA CREMAZIONE IN EUROPA

Dai dati riportati nella pubblicazione “Pharos International”, risulta che la cremazione in Europa si sviluppa con un andamento a macchia di leopardo.

A livello europeo esistono profonde differenze tra i singoli Stati per quanto riguarda la cremazione. Naturalmente il diverso approccio etico-religioso al rito ha influenzato, anche ed inevitabilmente, quello legislativo. Invero, se da un lato sussiste un panorama normativo europeo che solo in parte si occupa degli aspetti della cremazione, dall’altra le singole discipline nazionali incidono in modo diretto sullo sviluppo dell’attività cremazionista stessa, aumentando il bacino di riferimento o, in alcuni casi, restringendolo.

La suddetta difformità anche autorizzativa, nonché lo stato della tecnica degli impianti stessi, condizionano la capacità di espansione del mercato.

Gli impianti di cremazione

Un esempio eclatante delle differenze che si possono riscontrare è rappresentato dalla regolamentazione specifica sugli impianti di filtrazione. In nazioni come il Portogallo, la Spagna, la Polonia, e in generale i Paesi dell’Est sino ad arrivare alla Finlandia, dove sono in vigore leggi meno restrittive collegate alle norme tecniche definitorie delle caratteristiche degli strumenti di filtrazione, l’investimento dell’operatore economico si rivela inferiore della metà rispetto ad altri Paesi europei.

Un altro aspetto è certamente collegato alla committenza e cioè alla natura, pubblica o privata, di colui che può “acquistare” un impianto crematorio e gestirlo. In Stati come la Spagna o la Francia, in cui è possibile per i privati costruire impianti crematori al di fuori dei cimiteri in ambito di libero mercato, il numero di crematori è decisamente superiore rispetto alla media europea. Questi impianti a gestione privata sono per la maggior parte collocati nell’ambito delle case funerarie.

Panorama completamente diverso, lo si riscontra in zone, quali quelle italiane, in cui la cremazione e i relativi impianti possono essere costruiti – almeno sino a che non venga modificata la attuale normativa – solo all’interno dell’area cimiteriale, con committenza strettamente pubblica, seppur con l’applicazione di norme relativamente nuove quale quella del Project Financing. Di qui, l’unica possibilità per vendere o gestire un impianto crematorio passerà da una procedura di evidenza pubblica.

Ciò premesso, non sempre è facile riuscire ad offrire una fotografia corretta dei dati relativi agli impianti crematori a coloro che li costruiscono e alle conseguenti percentuali di cremazione realmente esistenti sul territorio europeo. In Europa, i players principali del settore che si contendono questo tipo di mercato a livello globale si contano tutto sommato sulle dita di una mano; accanto a questi si annoverano poi alcuni “piccoli costruttori” che operano esclusivamente su mercati locali.

Quanto al resto dei dati, non sempre si hanno delle certezze, in quanto non ci sono regole unitarie sulla raccolta dei dati statistici; infatti, relativamente al numero dei crematori, a volte viene fornita la quantità delle singole linee: se, ad esempio, in un tempio crematorio vi sono due forni, o un forno con due filtri, nella raccolta di dati da inserire nelle statistiche, alcuni contano due impianti, altri uno.
Ecco la ragione per la quale può capitare, esaminando articoli di settore, di imbattersi in numeri divergenti.

I numeri delle cremazioni

Anche per quanto riguarda la diffusione delle cremazioni, si percepiscono a volte dati sfalsati. In alcune nazioni, infatti, il numero delle salme cremate viene reso solo con riferimento alle città capoluogo e/o ai grandi centri (Paesi dell’est), in quanto non vi è un dato aggregato per tutto il territorio, oppure può capitare che vengano conteggiati anche resti mortali e mineralizzati, sovradimensionando in questo caso il dato stesso.
Ciò che, tuttavia, ricorre nelle analisi degli ultimi dieci anni su tutta Europa è che la percentuale di cremazione è molto più alta nei grandi centri e nelle zone più industrializzate, rispetto alle zone rurali.

Prendendo ad esempio il nostro Paese, si rileva come il tasso di cremazione continui a crescere, anche se il divario rimane considerevole rispetto alla Germania o alla Francia o alla Spagna, come si vedrà più avanti. In ogni caso, si può riscontrare come nelle regioni centrali della Penisola il tasso di cremazione si attesti sulla media nazionale, mentre nel nord si ritiene stia decisamente superando più del 30%, con picchi in Lombardia dove si registra una più alta presenza di impianti crematori rispetto ad altre aree del Paese. Insomma, ciò è dovuto soprattutto al fatto che la maggior parte dei templi crematori si trova proprio nella parte settentrionale del Paese.

Anche i nostri “vicini” francesi riscontrano la medesima distribuzione degli impianti, nonché tassi di cremazione maggiori nelle grandi metropoli. L’Association Française d’information Funéraire, invero, segnala che entro il 2030 le cremazioni rappresenteranno più del 50% dei funerali in Francia. Tale dato tuttavia fa riferimento alla percentuale delle cremazioni sui grandi centri abitati.
Attualmente, in Francia il numero di cremazioni nelle grandi città sfiora il 40%, una media più alta rispetto ai villages.

Non solo. Anche PANACEF, l’associazione nazionale dei servizi funebri spagnola, garantisce che le famiglie spagnole optino sempre più per il servizio di cremazione al momento di decidere il destino di una persona cara e calcola che la percentuale delle cremazioni supererà il 70% dei decessi nei prossimi dieci anni. La Spagna è in ambito europeo, con l’Inghilterra, il paese leader nel campo della cremazione, anche grazie – come accennato – a una disciplina che consente ai privati di poter aprire impianti crematori al di fuori della cinta cimiteriale, nelle cosiddette  funeral homes.Si pensi che la percentuale di cremazioni nelle aree metropolitane, come ad esempio Barcellona, è superiore al 50%.

In conclusione, si può rilevare che pur orientandosi significativamente sempre più verso la cremazione, il cammino di unificazione dell’Europa in tal senso appare ancora in parte incompiutoin ragione della mancata armonizzazione delle normative sia in ambito cimiteriale che ambientale, (attualmente si potrebbe dire diffuse a macchia di leopardo) di una razionale e capillare distribuzione degli impianti, nonché infine di una più generale visione di insieme del “sistema-cremazione” e dei relativi servizi correlati.

(Dati forniti da Pharos International – The Official  Journal of the Cremation Society of Great Britain, Winter 2018)

AVV. ALICE MERLETTI & AVV. ELENA ALFERO

http://www.oltremagazine.com/site/cremazione-europa.html

Come esprimere le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento? A chi rivolgersi? Ne parlo sul numero 2/2019 di Socrem News.

Studio Legale Alfero Merletti

Professione avvocato

Giovane avvocato torinese, laureata in giurisprudenza con lode presso l’Università degli Studi di Torino e specializzatasi in diritto civile, amministrativo e penale all’Università Cattolica di Milano, Alice Merletti è oggi titolare con la collega, avv. Elena Alfero, di un apprezzato studio legale di Torino. Una struttura dinamica e, come ama definire, “leggera” in grado di garantire le competenze delle storiche realtà che in città vantano una lunga tradizione, con un approccio più snello che consente agli assistiti di essere seguiti con puntualità e con un minor aggravio di costi.

 

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Dalla parte dei lavoratori AMIAT

Studio Legale Alfero Merletti

Mai più un caso Englaro – Oltre Gennaio 2019

La Legge n. 219/2017, c.d. Legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (nel prosieguo anche solo DAT), in realtà attua i principi contenuti negli artt. 2, 13, 32 Cost. e 1, 2, 3 della Carta UE, offrendo una ampia disciplina di quella che dovrebbe essere la relazione terapeutica tra medico e paziente con specifico riferimento al consenso informato in ambito sanitario, pianificazione condivisa delle cure e le dichiarazioni anticipate di trattamento. In tale ambito delimita il perimetro dell’autodeterminazione terapeutica della persona regolando contenuti, forme e limiti delle disposizioni anticipate di trattamento imperniante sul valore vincolante della volontà espressa “ora per allora” nella pluralità delle forme previste, sul rilievo della fonte dell’informazione e sulla figura del fiduciario.