È possibile garantire i diritti della comunità LGBTQ+? La situazione legislativa in America, in Europa e in Italia: ne parli su Oltre Magazine di settembre 2022.
Garantire la piena effettività del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere anche dopo la morte: è possibile?
L’articolo 21, che fa parte del capitolo “Uguaglianza” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Gli sviluppi degli ultimi anni testimoniano una crescente consapevolezza riguardo i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBTQ+) all’interno dell’Unione Europea. Insomma, i diritti della comunità LGBTQ+ sono positivamente tutelati sempre di più, anche se vi sono alcuni settori in cui ciò non si può affermare con forza. Nuovi cambiamenti tuttavia stanno avvenendo, e, dunque, anche nel “nostro” settore è importante domandarsi: cosa succede quando una persona transgender muore? La protezione dell’identità si estende oltre la vita? La risposta, ritengo, debba essere positiva. O almeno dovrebbe, ma purtroppo non è sempre così. Vediamo come mai.

In America

La tutela dei tuoi diritti spesso dipende da dove ti trovi, chi sei e a che leggi sei sottoposto. Ciò che può essere scontato per un Paese, non lo è per un altro (l’attualità ci ha dato ampie prove di questo, ahimè!). Guardiamo ad esempio oltreoceano. Beninteso, lo facciamo pur in un periodo in cui proprio oltreoceano alcuni diritti sinora garantititi perdono inammissibilmente di tutela di minuto in minuto.

Il The Respect After Death Act della California “consente la registrazione dell’identità di genere su un certificato di morte piuttosto che sul sesso assegnato alla nascita se vengono forniti una patente di guida aggiornata, un ordine del tribunale che approva un cambio di nome o di genere, un passaporto o una direttiva anticipata, tra gli altri documenti“.
Washington – DC ha una legge simile e sempre più altri Stati stanno introducendo tali misure. 

In Europa

In Europa la situazione si sta evolvendo con tempistiche diverse e in modo irregolare all’interno dell’Unione europea: permangono differenze sostanziali fra gli Stati membri dell’UE. Gli ostacoli possono essere ampiamente attribuiti al persistere di intolleranza e atteggiamenti negativi nei confronti delle persone LGBTQ+. La maggior parte degli Stati riconosce il diritto di inserire le generalità che, al momento del decesso, la persona ha o ha ottenuto. Dunque, i documenti che identificano tale persona con il genere e l’identità scelti devono sussistere prima che possano essere presentati a sostegno dell’aggiornamento dell’identità di genere su un certificato di morte. Di qui una considerazione: se le leggi dello Stato impediscono di poter modificare l’identità del defunto nei documenti, questo potrebbe influire su ciò che può essere posto sulla lapide, nei registri del cimitero e delle pompe funebri. Quindi, nei casi in cui l’identità trans di un defunto non possa essere formalizzata nei documenti di identificazione legale e in cui la sua identità trans non è stata accettata, il dato anagrafico non corrisponderà con il sentire del defunto, potendo al più assurgere ad altro dato. 

In Italia

Ed in Italia? La questione è stata affrontata dalle cronache locali e nazionali qualche anno fa (2020) quando a Pescara, sul manifesto funebre di Alessia, fu inserito il vecchio nome da uomo. Il caso fece scalpore all’epoca.
A livello normativo il DPR 285/90 prevede che sulla sepoltura siano riportati nome, cognome, data di nascita e di morte. I regolamenti cimiteriali (di cui ogni Comune si dota) prescrivono normalmente che nelle iscrizioni debbono essere incisi i dati fondamentali del defunto accompagnati, qualora vi sia spazio sufficiente, dagli elementi facoltativi.

Dunque, anche qui, se l’identità “sentita” dalla persona corrisponde ai dati anagrafici, il problema non si pone. In alternativa, occorrerebbe ricorrere agli elementi facoltativi, ciò non di meno svilendo la natura del dato stesso e, peraltro, come vedremo, lasciandolo in balia di coloro che dell’iscrizione si interesseranno.

Vediamo alcuni regolamenti:
Torino: “L’iscrizione sulla sepoltura, in aggiunta alle generalità del deceduto, di frasi commemorative o di cordoglio è libera. Nel testo, da notificare anticipatamente agli uffici cimiteriali, non sono consentite espressioni lesive della dignità del defunto e del decoro del luogo. I Servizi Cimiteriali vigilano sul contenuto delle epigrafi ed hanno facoltà di emendare, sentiti gli interessati, quelle espressioni suscettibili di offendere la comune sensibilità“.
Per generalità si intende l’insieme degli elementi specifici (nome, cognome, luogo e data di nascita, eventualmente paternità) che determinano l’identità di un individuo. Dunque, i dati che da anagrafe caratterizzano il soggetto. Tali elementi sono obbligatori, in aggiunta come detto, potranno essere inseriti altri elementi identificati come frasi.

Milano: “Sulle sepolture deve essere iscritto, con modalità durature e non facilmente alterabili, il nome, il cognome e almeno indicata la data di morte della persona a cui la salma, i resti o le ceneri si riferiscono. L’iscrizione è subordinata al preventivo nulla osta, da parte degli uffici comunali. I nomi d’arte o i nomignoli sono consentiti, previo nulla osta degli uffici comunali, solamente sul secondo rigo e purché non contrastanti con l’austerità del luogo”.
Anche qui: i dati anagrafici sono obbligatori.

Roma: “deve essere indicato il cognome, nome, data di nascita e di morte della salma tumulata”.

Napoli: occorre indicare “il nome e cognome, la data di nascita e di morte nonché la data d’interro ed il numero d’ordine dei registri cimiteriali”.
Insomma, occorre inserire i dati anagrafici. Dunque, non deve esserci aporia tra anagrafe e le iscrizioni.

Dunque, se i dati anagrafici corrispondono allo stato in cui la persona si trova e si sente, il problema non c’è. 

In ipotesi in cui i dati anagrafici non corrispondano naturalmente la questione si complica, potendo al più il dato assurgere a dato facoltativo.

La ratio c’è: è un problema di gestione dell’anagrafe e registro cimiteriale, che devono associare un certo defunto ad una certa collocazione. Il problema è contemperare le esigenze di stato civile con il volere della persona che non c’è più.
Ma, c’è un altro ma. Chi può domandare l’iscrizione e/o l’epitaffio? Di solito è il marmista su delega della famiglia che presenta il progetto (per la lapide, la targhetta, etc.). E qui tutto si sposta su chi ha diritto a siglare la delega. Se è il famigliare, sulla base dei gradi di parentela definiti dal dpr n. 285/1990 e dei regolamenti cimiteriali, vi può essere il rischio che, ove il percorso di vita del deceduto non sia stato appoggiato dalla sua cerchia famigliare, neppure eventuali ulteriori elementi facoltativi vengano presi in considerazione.

Si auspica pertanto che anche in relazione a questo aspetto – a ben vedere tutt’altro che marginale – intervenga prontamente una presa di posizione normativa in modo d’allineare il nostro ordinamento al sentire comune così come peraltro è avvenuto in altri settori del diritto. E ciò proprio in considerazione del fatto che – lo ricordiamo – la pietas nei confronti dei defunti è tema, sotto altri aspetti, bene presente al legislatore italiano.AVV. ALICE MERLETTI & AVV. ELENA ALFERO