La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 370 del 2023, ha recentemente respinto il ricorso della Società AFC che gestisce i servizi cimiteriali di Torino contro la condanna disposta dalla Corte di Appello di Torino a pagare 2.500 euro alla figlia, alla moglie ed alla sorella di un uomo i cui resti erano stati cremati senza il loro consenso poiché l’avviso da parte di AFC alla famiglia, prima della cremazione della salma stessa, era risultato omesso per essere stato effettuato a domicilio non corretto, per poi essere rinnovato, ma erroneamente, mediante pubblici proclami.
La Corte ha ricordato che la legge del 2001 prevede che l’ufficiale dello stato civile richiede il consenso dei parenti per la cremazione di una salma inumata da almeno dieci anni, e che tale norma è vincolante e ciò anche in mancanza di un regolamento attuativo.
La sentenza precisa che l’autorizzazione alla cremazione può essere data solo previo consenso dei parenti, il cui interesse ad avere un luogo per onorare il defunto è “esplicazione di un diritto della personalità […] cui concede rilevanza l’articolo 2 della Costituzione”.
La sentenza sottolinea inoltre che l‘errata comunicazione, prevista per legge, ai parenti costituisce una violazione della normativa vigente, poiché la legge del 2001 prevede che l’ufficiale dello stato civile richieda il consenso dei parenti previo loro individuale avviso, e nel caso di irreperibilità, previa affissione all’albo.
La Corte ha, infine, precisato che la lesione del diritto costituzionale alla libertà di religione deriva proprio dalla trasformazione – in assenza di autorizzazione – della salma in cenere.
Qui la sentenza: